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“I bambini della Valnerina raccontano”, il libro

Il volume curato da Agnese Benedetti e Manuela Amadio racconta "piccole storie di metà Novecento"

“I bambini della Valnerina raccontano”, il libro
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A cura di Ilaria Solazzo

Un’infanzia segnata da pascoli e stalle, da scarpe consumate e giocattoli rari, ma anche da un profondo senso del dovere, dignità silenziosa e responsabilità precoce. È questo il ritratto autentico che emerge da “I bambini della Valnerina raccontano. Piccole storie di metà Novecento”, il volume curato da Agnese Benedetti e Manuela Amadio, pubblicato con il sostegno del CEDRAV (Centro per la Documentazione e la Ricerca Antropologica in Valnerina e nella dorsale appenninica umbra), nell’ambito delle attività dell’Antenna dell’Ecomuseo “La Casa dei Racconti di Vallo di Nera”.

Un’opera speciale e preziosa, che raccoglie e custodisce oltre sessanta testimonianze di persone che furono bambini tra gli anni ’40 e ’60 nei dieci comuni della Valnerina perugina. Un’antologia di memorie che ridà voce a una generazione spesso ignorata, valorizzando la narrazione orale, il patrimonio contadino e l’identità profonda dell’Umbria interna. Dopo la presentazione ufficiale a Vallo di Nera, il libro sta proseguendo il suo percorso itinerante, incontrando comunità, borghi e nuove storie in tutta la regione.

Abbiamo intervistato Agnese Benedetti, co-autrice del progetto, per comprendere più a fondo il senso e la genesi di questo lavoro di raccolta, cura e restituzione della memoria collettiva.

Un archivio vivente della memoria rurale

Sono stati oltre sessanta gli umbri contattati personalmente da Manuela Amadio, ex insegnante e ideatrice del progetto editoriale. Con pazienza e sensibilità, ha invitato ciascuno a donare un ricordo d’infanzia, un frammento della propria esperienza vissuta tra gli anni ’40 e ’60, in un’Umbria montana ancora lontana dalla modernità.

Molte risposte sono arrivate con emozione: fogli scritti a mano, colmi di nostalgia e di una calligrafia ormai rara, testimonianze sospese tra la memoria e il cuore. Quei racconti, pur nella loro semplicità, sono stati rielaborati con attenzione e rispetto dalle due autrici, che hanno saputo trasformare un materiale fragile e prezioso in un libro denso di umanità, valore storico e profondità antropologica.

Tra gli aneddoti più curiosi, uno riguarda l’introduzione della prima stanza da bagno in una casa della Valnerina negli anni ’50. Un’innovazione accolta con entusiasmo dai più giovani, ma che suscitò non poca perplessità tra gli anziani:

«Ma davvero pensate di lavarvi tutti insieme lì dentro?» — avrebbe esclamato, incredula, l’anziana di famiglia osservando la nuova vasca da bagno.

Un episodio che oggi fa sorridere, ma che restituisce con tenerezza il divario culturale tra epoche diverse, segnate da valori, aspettative e visioni del mondo profondamente differenti.

L'intervista ad Agnese Benedetti

Come nasce l’idea di questo libro?
Il progetto nasce dal desiderio profondo di salvare dall’oblio una parte essenziale della nostra storia: l’infanzia contadina vissuta tra gli anni ’40 e ’60 nei paesi di montagna. Con Manuela Amadio, e grazie all'attività dell'Ecomuseo di Vallo di Nera, abbiamo sentito l’urgenza di raccogliere queste storie prima che scomparissero, portate via dal tempo e dal silenzio.

Qual è stata la reazione della comunità?
Inizialmente c’era un certo pudore, una comprensibile ritrosia. Ma col tempo le persone si sono aperte, con una generosità che ci ha commosse. Molti hanno vissuto questo progetto come un atto di riconoscimento verso la propria storia personale e familiare.

Qual è stata la sfida più grande?
Senza dubbio, mantenere l’autenticità delle voci narranti. Abbiamo lavorato per armonizzare i testi senza snaturarli, conservando il lessico, le espressioni, persino i silenzi che accompagnavano certi ricordi. È stato un esercizio delicato e rispettoso.

C’è un aspetto che l’ha colpita in modo particolare?
La straordinaria maturità dei bambini di allora. A otto, nove anni già si collaborava attivamente alla vita familiare e lavorativa. È emersa una consapevolezza precoce del proprio ruolo nella comunità, oggi difficile da immaginare.

Il progetto ha avuto il sostegno del CEDRAV. In che modo?
In modo naturale e convinto. La direttrice, Caterina Comino, ha subito riconosciuto il valore culturale e antropologico dell’opera. Il sostegno del CEDRAV è stato fondamentale per arrivare alla pubblicazione e per dare autorevolezza all’intero percorso.

Qual è l’obiettivo più profondo del libro?
Restituire dignità alle aree interne, troppo spesso trascurate. Dare voce a queste comunità significa valorizzarne l’identità e riconoscerne l’importanza nella storia collettiva dell’Umbria e dell’Italia.

Una storia che Le è rimasta nel cuore?
Ne porto tante con me, ma una in particolare: un bambino che aspettava con trepidazione la fiera annuale per ricevere un solo giocattolo. Quel momento, semplice e intenso, racconta molto di un tempo in cui la gratitudine e il senso del limite erano parte integrante della crescita.

Come è stata accolta la prima presentazione a Vallo di Nera?
Con grande partecipazione. È accaduto durante “Fior di Cacio”, ed è stata un’emozione intensa. Il pubblico ha risposto con calore e commozione: ci siamo sentite parte di qualcosa di condiviso e importante.

Il libro continuerà il suo percorso?
Sì, il libro sta attraversando borghi e comunità in tutta l’Umbria. Ogni presentazione diventa occasione per ascoltare nuove voci, scoprire altri tasselli di memoria. E molte persone ci stanno proponendo di raccogliere altre storie.

A chi è destinato questo volume?
A chi ha vissuto quegli anni e vuole rivedersi in quei ricordi. Ma anche ai giovani, affinché conoscano un passato recente ma profondamente diverso. E poi a studiosi, educatori, insegnanti: il libro è una risorsa pedagogica e storica straordinaria.

Le fotografie d’epoca che ruolo hanno avuto?
Cruciale. Sono immagini fornite direttamente dai narratori, custodite nelle loro case. Accompagnano i testi con forza visiva e valore documentale, completando la narrazione con autenticità.

Il messaggio finale che vorrebbe lasciare ai lettori?
Che la memoria è un bene comune, da coltivare e tramandare. E che ogni piccola storia, anche la più umile, può contenere valori universali: la solidarietà, la fatica, la speranza. Solo conoscendo chi siamo stati possiamo costruire consapevolmente ciò che vogliamo diventare.

C’è l’idea di un seguito?
Sì. Assolutamente. Le proposte sono tante, la memoria è un campo vasto. Pensiamo a una seconda raccolta, magari tematica, o a un’estensione del progetto ad altri territori.

Un progetto che guarda al futuro attraverso le radici. I bambini della Valnerina raccontano è molto più di un libro: è uno scrigno di storie, un ponte generazionale, un atto d’amore verso la propria terra. In un’epoca dominata dalla velocità e dalla superficialità, fermarsi ad ascoltare la voce di chi ha vissuto con poco, ma con intensità e umanità, è un gesto potente, quasi rivoluzionario.

Questo progetto restituisce dignità a una comunità che ha costruito, con fatica e silenzio, le fondamenta del presente. Ma soprattutto ci ricorda che le radici, lungi dall’essere catene, sono ali. E oggi, grazie alla parola scritta, quelle ali hanno ritrovato il cielo della memoria condivisa.

La gratitudine di un progetto condiviso. Agnese Benedetti, con voce sincera e carica di emozione, ha voluto esprimere la sua gratitudine a quanti hanno contribuito a questa prima edizione del progetto:

«Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno condiviso con noi un pezzo della loro storia. Senza la loro fiducia, il libro non avrebbe avuto voce. Questo lavoro appartiene a loro, alle loro famiglie, alle loro comunità.»

Il volume “I bambini della Valnerina raccontano” è oggi disponibile:

a Vallo di Nera, presso La Casa dei Racconti e il bar Taverna del Bordone

a Scheggino, presso il Museo della Fiaba

a Cerreto di Spoleto, presso la sede del CEDRAV

Il libro può essere ritirato lasciando un contributo volontario, a sostegno della prosecuzione del progetto.

«Come cittadina umbra» – conclude Benedetti – «spero di aver dato voce al cuore di tanti. Questo libro è un piccolo atto d’amore per la nostra terra, per la sua memoria silenziosa e per le persone che ne hanno custodito il senso più autentico, anche nei momenti più duri. Ogni storia raccolta è una carezza alla nostra identità comune.»

Una memoria che unisce generazioni: il valore di un progetto corale. Nel cuore di I bambini della Valnerina raccontano si cela molto più di una semplice raccolta di testimonianze: c’è un’opera collettiva che restituisce senso, profondità e dignità a una memoria spesso relegata ai margini del discorso storico. È un progetto editoriale che ha saputo trasformare frammenti di vita quotidiana in materiale culturale vivo, consegnandoci un affresco autentico di un’Umbria contadina, resiliente e silenziosa, che ha cresciuto generazioni intere.

Nonostante il nucleo centrale del libro sia costituito dai ricordi d’infanzia degli anni ’40, ’50 e ’60, le curatrici hanno scelto di includere tre racconti “fuori epoca”, che arricchiscono e ampliano la cornice storica della narrazione. Il primo è quello di una persona nata nel 1939, la cui testimonianza, seppur anteriore, contribuisce a delineare il clima sociale e culturale in cui si formarono le generazioni successive. Il secondo è il contributo della stessa sindaca Agnese Benedetti, classe 1963, che ha voluto offrire uno sguardo personale, intrecciando il proprio percorso biografico con quello delle comunità che oggi rappresenta istituzionalmente. Il terzo racconto è quello del padre di Linda Lucidi, incluso per volontà affettuosa e condivisa, a testimonianza del valore umano e affettivo che questo progetto ha assunto anche all’interno delle famiglie partecipanti.

Queste voci, pur non rientrando cronologicamente nella fascia temporale indicata nel titolo, ne rispettano e amplificano lo spirito: sono il segno tangibile di quanto la memoria non abbia confini rigidi, ma viva di connessioni, riverberi, fili invisibili che legano tra loro tempi diversi e persone distanti.

Il valore di questo lavoro non è solo documentario: è antropologico, educativo, identitario. È un esempio virtuoso di come la narrazione orale, se raccolta con cura e restituita con rispetto, possa diventare fonte storica a tutti gli effetti. E allo stesso tempo, può agire come strumento di coesione sociale, di riconoscimento reciproco, di trasmissione valoriale tra generazioni.

In un’epoca in cui la memoria sembra spesso dissolversi nell’immediatezza digitale, I bambini della Valnerina raccontano invita a rallentare, ad ascoltare, a custodire. Ci ricorda che la Storia non è fatta solo di eventi e date, ma anche – e forse soprattutto – di emozioni, gesti semplici, giochi improvvisati, sacrifici silenziosi e sorrisi conquistati con poco.

Queste pagine danno voce a una collettività che per troppo tempo ha parlato a bassa voce, come se il suo passato non avesse valore. Invece, oggi scopriamo che proprio in quelle infanzie, vissute con scarpe consumate e dignità intatta, c’è una straordinaria lezione di umanità.

È un patrimonio che merita non solo di essere letto, ma riconosciuto, studiato, tramandato. Perché ricordare non è mai un esercizio nostalgico: è un atto politico, educativo e culturale. È un modo per affermare che ogni storia, anche la più piccola, ha valore. E che nessun ricordo, se condiviso, è mai davvero passato.