La Procura di Roma ha chiesto condanne per un totale di oltre 450 anni di carcere nei confronti di circa 40 imputati, coinvolti nella maxi inchiesta “Propaggine” che ha smantellato la prima ‘locale’ ufficiale di ‘ndrangheta operante nella Capitale. Il procedimento nasce da un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Dia, che ha portato alla luce un’organizzazione mafiosa radicata a Roma, accusata di una serie di reati gravi.
In particolare, i pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani, nel processo con rito ordinario, hanno richiesto una pena di 30 anni di carcere per Vincenzo Alvaro, uno dei boss principali dell’organizzazione. Gli imputati, a seconda dei ruoli, sono accusati di associazione mafiosa, traffico di droga, estorsioni, truffa aggravata ai danni dello Stato, riciclaggio, detenzione illegale di armi e favoreggiamento.
L’inchiesta ha messo in evidenza l’influenza della ‘ndrangheta a Roma, con i due capi, Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, che nel 2015 hanno ricevuto l’autorizzazione dalla “casa madre” in Calabria per costituire una locale nella Capitale. Secondo gli inquirenti, proprio Alvaro e Carzo avevano il controllo dell’organizzazione, con radici profonde tra Calabria e Roma. Un’intercettazione captata durante l’indagine riportava una frase rivelatrice: “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”, a sottolineare il legame diretto con la ‘ndrangheta calabrese.
Nel febbraio scorso, durante il processo con rito abbreviato, erano state già emesse condanne per oltre cento anni di carcere, tra cui quella per Antonio Carzo a 18 anni di reclusione, e quelle per i figli Domenico e Vincenzo Carzo, rispettivamente condannati a 12 anni e mezzo e 9 anni e 6 mesi.